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Pronti per una serata da trascorrere all’insegna del dj Set e del Beer Pong? Eat Viterbo ti aspetta questa sera Mercoledì 8 Maggio 2024
Lo sposalizio dell’Albero e’ una tradizione storica della Tuscia che si celebra ogni anno, l’8 maggio a Vetralla alle pendici del boscoso Monte Fogliano.
Sembra che il suo inizio risalga al 1368, quando i vetrallesi iniziarono a celebrare nell’eremo la festa di San Michele Arcangelo, poi trasformatasi in “sposalizio dell’albero”.
Nel bel mezzo del bosco di Monte Fogliano, due alberi, un antico cerro ed una giovane quercia, vengono vestiti da sposi, velo compreso, e circondati di primule e ginestre e viene celebrato lo sposalizio appunto degli alberi.
Si tratta dunque di una cerimonia nuziale in piena regola, nata con lo scopo di riaffermare pubblicamente e solennemente ogni anno il diritto di origine medioevale stabilito da Papa Eugenio IV che riconosce ai Vetrallesi la proprietà sulla selva del Monte Fogliano e sull’eremo, infatti al termine di questa le autorità presenti rogano un atto, firmato da testimoni, che rinnova di anno in anno il possesso dei vetrallesi sull’area e stabilisce che nel caso in cui un anno non fosse rinnovata la tradizione questo diritto passerebbe nelle mani del Comune di Viterbo.
Lo sposalizio dell’Albero, una tradizione storica della Tuscia valorizzata dal Ministero della Cultura e dalla Regione Lazio con importanti riconoscimenti che si rinnova ogni anno in tutto il suo splendore e valore storico, artistico e culturale.
Viterbo, 36 mila persone questa mattina a Viterbo sono state evacuate per il Bomba Day, le operazioni di bonifica sono iniziate alle 10,27 e dureranno 5 ore
“Si chiama Lady Rose, in onore di Santa Rosa”. Così Luigi Prencipe, il capitano degli artificieri dell’Esercito a capo delle operazioni di bonifica della bomba di via De Gasperi a Viterbo.
“Abbiamo dato questo nome alla bomba – spiega Prencipe – in omaggio alla santa patrona di Viterbo. È la seconda blockbuster bomb che viene ritrovata nella città dei papi. Se fossero esplose sicuramente Viterbo avrebbe avuto un volto decisamente diverso”.
Si tratta di un ordigno della seconda guerra mondiale ritrovata in via De Gasperi a Viterbo il 20 marzo durante i lavori di costruzione di un complesso immobiliare. Una Blockbuster bomb sganciata dall’aviazione inglese nel 1944.
Il despolettamento della bomba consiste nella rimozione e nel brillamento delle componenti sensibili e pericolose al maneggio e al trasporto. A quel punto da via De Gasperi viene portata al poligono di Monte Romano con un mezzo dell’Esercito scortato dalla polizia stradale e con al seguito un’ambulanza della Croce rossa. È previsto che il trasporto avvenga in novanta minuti.
Una volta all’interno del poligono l’ordigno viene svuotato per via idrica manuale del caricamento e il materiale esplosivo distrutto. Il tempo stimato per le operazioni di “lisciviatura”, ossia di svuotamento della materia esplodente, è di circa otto ore.
31 anni fa. 1988. C’era lo sterrato a Valle Faul e d’estate saliva una polvere secca che la faceva somigliare a qualche zona sperduta del lontano west. Lì le pepite. Qui, nella Città dei Papi che vide l’alba del primo conclave, i san pietrini. Quelli che il sole secca, che ti scappano da sotto le suole quando piove, e che si tengono stretti i segreti di chi è passato prima e pure quelli di chi passerà dopo. Non era poi così diversa Viterbo. Che però, in quell’anno di grazia avaro di soddisfazioni sportive, si preparava a vivere una piccola rivoluzione. Inconsapevole come il passaggio dal medioevo a quello moderno, i risultati del quale si sarebbero visti e restano ancora. Merito di un giovanotto (così si dice) di nome Galiano che a 23 anni tirava su una saracinesca e su un tavolo di granito stendeva pizze: nasceva il Monastero. Una sorta di refettorio francescano all’inizio, pochi tavoli e il forno che sparava fuoco e fiamme direttamente sui clienti. “Venti posti poco più – ricorda Galiano – gli ordini arrivano a voce direttamente dai tavoli. Più che un ristorante, una taverna famigliare. Più che clienti, amici”.
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Amici fidati, di quelli che pure quando chiudi i contatti continuano a sbirciarti da lontano e se cadi passano per sbaglio nel tuo stesso posto. “Amici che – continua Galiano – sono i veri inventori della pizza del Monastero”. Quella che si serve su due piatti. Quella che ci fanno i kilometri per venirla a mangiare. E che: “Sono di Roma e m’hanno detto che dovevo venire qui per forza”. Che fa gonfiare il petto, in uno sciovinistico inno culinario da sventolare come vessillo. “All’inizio la voglia era tanta ma l’esperienza poca– continua – le pizze avevano la stessa trama sottile di oggi ma non erano proprio tonde, anzi, piuttosto ovoidali. Nulla a che vedere con quelle classiche insomma. Una cosa che diede da parlare parecchio stuzzicando pure le prese in giro degli amici. Un errore che è diventato il nostro marchio di fabbrica. Come i due gusti, scelta decisa da qualche cliente indeciso e molto affamato”. 30 primavere dopo. La fame è la stessa. Il locale si è spostato poco più là, in via Fattungheri a due passi dalla Chiesa di Santa Maria Nuova (una delle più antiche delle città, il chiostro longobardo vale una visita), tavoli di legno massello, pareti in peperino e la fila perenne fuori la grande porta di vetro e ferro battuto. E poi c’è Galiano. Qualche capello grigio. Un sorriso per tutti. La voglia di sempre.
La Pizza su due piatti, oggi esportata in tutto il mondo, forse non tutti sanno che è nata a Viterbo, era il 1988.
Si è volta Lunedì 29 aprile, a Montecitorio nella Sala della Regina la prima edizione del premio Art Global “Arte & Cultura”
Il prestigioso evento realizzato su iniziativa dell’Onorevole Aldo Mattia, deputato membro della commissione Ambiente di Montecitorio, già dirigente nazionale della Coldiretti, sarà curato da Angiolina Marchese, Art Curator, Presidente dell’associazione stessa. Modererà l’incontro la giornalista Barbara Castellani
Nel corso dell’evento sono state premiate diverse personalità impegnate nei vari ambiti della cultura tra cui L’artisto legato alla Tuscia Roberto Ferri.
Sono intervenuti Angiolina Marchese, Presidente di Art Global, Antonio Caramia, consulente tecnico di opere d’arte, Maria Rita Parsi, psicologa e psicoterapeuta, Angelica Loredana Anton, Presidente di Area Cultura, giornalista e scrittrice impegnata specialmente nella valorizzazione della letteratura; Dottor Emanuele Merlino, Capo segreteria tecnica del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano; Rosanna Vetturini, Art Curator.
Diversi e prestigiosissimi ospiti d’onore, tra i quali : Saywan Barzani, Ambasciatore della Repubblica dell’Iraq in Italia; Gaspare Maniscalco, violinista, liutaio, poeta; Mal, Cantante, Attore; Maria Antonia Spartà, Vice Questore di Pubblica Sicurezza a Roma, attiva in campagne contro ogni forma di violenza verso le donne; Prof. Avv. Teodoro Calvo; Paolo Di Giannantonio, Giornalista Rai; Mons. Jean-Marie Gervais, Pres. Associazione Tota Pulchra; Giovanna Lauretta, Art director Griffe Scarlatti Mod’ Art fashion Roma.
Dal primo al 5 maggio il quartiere medievale della città di Viterbo si trasforma in uno dei giardini più belli d’Italia
Sei le piazze coinvolte: Piazza del Gesù, San Lorenzo, San Carluccio, della Morte, Scacciaricci e San Pellegrino.
“Il cuore del centro storico di Viterbo – spiega Raffaele Ascenzi – fonda prevalentemente la sua immagine architettonica e urbanistica su quell’impianto medievale che ancora oggi definisce un ‘paesaggio urbano’ in cui il rapporto tra la pietra degli edifici ed il verde si carica di suggestioni ed epifanie soprattutto da un punto di vista simbolico. Se vero infatti che la città nasce per dare riparo all’uomo dai pericoli di una natura ‘selvaggia’ e ‘maligna’, è altrettanto vero che una delle più formidabili espressioni della natura stessa, ovvero le piante, sono state per l’uomo strumento capace di farlo progredire e migliorare sotto i più svariati aspetti e campi che spaziano dall’uso meramente scientifico e funzionale delle stesse fino ad arrivare ad un approccio più artistico e poetico che ancora oggi definisce il nostro immaginario collettivo”.
“Nelle architetture della città – prosegue poi Ascenzi – capitelli, colonne tortili, modanature, trabeazioni e pavimenti trasudano di geometrie e forme prese in prestito dal mondo dei fiori e delle piante. In tal senso, le installazioni che si propongono per San Pellegrino in fiore 2024, in coerenza anche con i temi individuati all’interno della candidatura di Viterbo a Capitale europea della cultura 2033, nascono da un approfondito studio inerente il tema iconografico e iconologico del ‘fiore’ declinato nell’ambito architettonico e urbanistico del centro storico medievale di Viterbo a ridefinizione di un racconto, seppur provvisorio ed effimero, della città e della sua storia”.
“Selezionando tipologie di piante – aggiunge l’architetto che ha vinto il concorso di idee – che hanno, soprattutto nel Medioevo, definito i principi dell”ars topiaria’ ovvero dell’arte di dare forme geometrico-scultoree alle piante e prendendo come ‘modus operandi’ spunto da quegli impianti floreali effimeri a sfondo religioso tipici della tradizione della Tuscia viterbese, si sono individuati degli stilemi riconducibili ai simboli botanici presenti nell’architettura medievale viterbese in pavimentazioni, paramenti murari ed elementi architettonici di decoro che diventano pertanto occasione per definire delle installazioni capaci di raccontare a scala urbana una sorta di grande erbario scritto per le vie storiche della città di Viterbo”.
“Hai presente quel pezzo di Venditti, il verso dove canta: … e mio padre, una montagna troppo grande da scalare…? Anche mio padre è stato una montagna. Bello come un attore, dal carattere fortissimo. Mi rivedo piccola, quando in punta di piedi lo guardavo oltre il bancone di marmo del negozio. E spesso, nei momenti di quiete, lo sento ancora qui accanto a me”. Voce dolce, tratti delicati, determinazione unita a grande competenza e professionalità: Simonetta Coccia è uno dei volti nuovi e più rappresentativi dell’imprenditoria femminile viterbese.
Una figlia prima ancora di essere imprenditrice. “Con la sua vita interamente dedicata al lavoro, papà ci ha regalato l’immenso valore dell’esempio”, aggiunge commossa. La famiglia Coccia è una delle più note del capoluogo della Tuscia: il papà Sesto, originario della provincia di Perugia, arrivò a Viterbo nella prima metà del Novecento e aprì la prima piccola bottega di salumiere nel quartiere più antico, San Pellegrino. Gli anni passarono: con i sacrifici e il lavoro l’attività crebbe e prosperò. Sesto si sposò ed ebbe tre figlie. La sua impresa, pur acquisendo un carattere sempre più ampio, rimase per suo preciso volere di carattere famigliare e artigianale. Simonetta Coccia è la minore delle figlie di Sesto. “Mentre andavo a scuola, avevo 16 anni e papà si stava già ammalando ed , ho cominciato a lavorare fianco a fianco a lui, pur studiando , Collaboravo alla gestione amministrativa. Avevamo un rapporto simbiotico, fatto di affetto e di sintonia sul lavoro. Non mancavano i momenti conflittuali”, ricorda Simonetta. Quando il fondatore è venuto a mancare, è stato naturale per Simonetta subentrare nell’amministrazione e nella gestione dei clienti e dei fornitori.
“Non nascondo che quando mi sono trovata a occupare la scrivania che era stata di mio padre, ho avuto un attimo di sconforto. Era un personaggio conosciuto da tutti, un uomo di vecchio stampo, per il quale bastava una stretta di mano a suggellare un accordo. Sentivo forte le aspettative altrui, di cercare di mantenere l’azienda di famiglia ai livelli cui era giunta e anzi, di farla crescere. E questo, in un ambiente prettamente maschile, non è stato affatto semplice. Ho dovuto lavorare tanto”.
Amministrare “monocraticamente” una P.M.I. significa non potersi permettere il lusso di “specializzarsi” ed essere costretti ad avere una visione d’insieme, della produzione, del marketing, della finanza, delle vendite. Gli ultimi anni li ho dedicati all’avvio dei progetti e-commerce e di esportazione. Ho condotto lo stabilimento di produzione alimentare ad ottenere la certificazione ISO 22000, l’accesso al mercato canadese a quello asiatico, dove già esportiamo e la registrazione FDA statunitense, in prossimità del completamento dell’iter per l’ammissione anche su quel mercato.
La ditta fondata da Sesto Coccia è oggi una grande realtà che dà lavoro a diciannove dipendenti e con orgoglio, devo dire che si ritiene essere un “buon posto” dove lavorare.
Non sono certa né di avere ancora appreso “come fare “né di “saper fare bene”, ma sono certa che la mia passione mi spinge ogni giorno a fare meglio, anche partecipando a diversi corsi sia universitari sulla storia del cibo e come Maestra assaggiatrice “ONAS”, che mi permette di partecipare a diversi panel e di potermi confrontare con altri produttori per migliorarmi o per dire: “be’ noi siamo i migliori” …….
Dal 2015 faccio parte del Consiglio Direttivo della Sezione Alimentare di Unindustria e dal 2020 sonno Presidente della Piccola Industria di Viterbo con nuovi impegni e con dinamiche relazionali nuove rispetto a quelle vissute tra le mura dell’azienda.
All’interno dell’azienda che si estende per 2200 mq, c’è un punto vendita dove luci, sapori, colori rendono il tutto una “meraviglia sensoriale”. Ho sempre seguito i consigli di mio padre per non acquistare mai nessuna cella di congelamento, per garantire sempre la massima “espressione del sapore”, in ogni prodotto, poiché lavoriamo esclusivamente carni fresche selezionate.
Per la fornitura di carne suina, vengono privilegiati gli allevamenti italiani etici, che perseguono una politica cruelty free. La nostra sussianella appartiene inoltre, al circuito Slow Food, un ente internazionale che promuove il rispetto del cibo e di chi lo produce, in armonia con gli antichi saperi e con le variegate tradizioni locali. Inoltre, i salumi dello stabilimento viterbese vantano il marchio Tuscia: sono realizzati cioè seguendo un disciplinare stilato dalla Camera di Commercio locale, che tutela e promuove prodotti di comprovata tipicità e qualità, garantendone l’origine. “La nostra è un’attività che da una parte è riscoperta e valorizzazione degli antichi prodotti tipici del nostro territorio; dall’altra è sperimentazione e ricerca, per la realizzazione di nuove specialità”. Se il segreto per la realizzazione dei prodotti Coccia viene custodito gelosamente, come farebbe qualsiasi artigiano orgoglioso del proprio lavoro, non è un segreto invece il motivo per cui l’azienda di Simonetta e della sua famiglia abbia raggiunto i lusinghieri risultati odierni. “La passione, la cura che mettiamo nel nostro lavoro. E personalmente, credo molto nella collaborazione fattiva tra imprenditore e collaboratori. Come datrice di lavoro sono sempre estremamente disponibile e questo credo sia la parte vincente della mia attività”.
Un’attività vincente che è stata anche riconosciuta dalla sezione viterbese di Fidapa – Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari, della quale Simonetta è membro. “Le donne imprenditrici non sono purtroppo molte: il mondo declinato al maschile rema ancora contro. Ma tra noi esiste una bella solidarietà.
https://www.salumificiococcia.it/intervista-a-simonetta-coccia-la-signora-dei-salumi-della-tuscia/
Tenacia e Fiducia come i quattro Mori – Con i sapori dell’isola, La “Forchetta Sarda” conquista Viterbo
Ollolai, un nome che è quasi una cantilena. 1500 persone, sole, terra rosa e l’odore salmastro del vento di scirocco. Cuore della Sardegna, quella vera. Quella che il turismo e le paillettes delle spiagge cagliaritane le vede con il binocolo e che va bene così. Da lì, nel 1992, sono partiti mamma Angela e papa Salvatore con la loro Famiglia: Mary, Dennis e Christian. Direzione Viterbo. Il “continente” come lo chiamano sull’isola. Roba che a dirla così ha il sapore nebuloso della terra dove le ombre sono più che le luci. Semi inesplorata e con tutto il suo carico di paure. Una paura che la famiglia Brundu, cinque membri di cui tre appena adolescenti, si è lasciata presto alla spalle. “Nonostante all’inizio – racconta Dennis – ogni giorno ci sembrava quello giusto per tornare in Sardegna”. Catapultati in una realtà diversa. Sradicati e con una vita da ricostruire dalle fondamenta. A tenerli a galla tenacia e fiducia, cieca come i quattro mori della bandiera dell’Isola, un’ idea e uno spazio vuoto da riempire in quella che era via Marconi prima del boulevard. “Un investimento per i figli” pensava Angela che, in quel locale dove solo le assi di legno sbilenche con i chiodi per metà piegati sembravano trovarsi a proprio agio, vedeva delle potenzialità.
Inizia così a lavorare duro fino a quando le finestre non si colorano di giallo e l’insegna, con l’odore di vernice ancora fresca, non viene tirata fuori. Nasceva la Forchetta Sarda, più che un ristorante un sguardo sull’isola bella. Pizza fina e croccante per andare incontro alle esigenze di tutti e vincere quella naturale ritrosia che si prova davanti alla novità. Insieme, le migliori specialità della tradizione: dal maialino, ai ravioli al formaggio, passando per il pane frattau con ragù, pecorino e uovo, e arrivare alle dolci e fragranti seadas. Piatti senza cornici barocche ma con i sapori giusti e accoglienti di casa.
“Forse il nostro segreto – continua Dennis – il fatto che mia madre abbia sempre cucinato al ristorante come dietro i fornelli di casa. Stessa passione. Stessa attenzione. Come se, invece di clienti, aspettasse ospiti a cena. Ricordo un signore che tanti anni fa lasciò il menù chiuso sul tavolo e chiese per cena quello che avevamo mangiato noi: mia madre aveva fatto degli gnocchetti che proposi mi disse che in 35 anni di visite in Sardegna non aveva mangiato nulla di simile. In un certo senso, fu l’inizio di tutto”. L’inizio di un’avventura di cui le pagine più belle devono ancora essere scritte.
L.T
L’imponente figura di Giulia Farnese, verrà raccontata il 18 aprile alle ore 15.30 nella sala conferenze della Provincia di Viterbo.
“Le 500 primavere di Giulia Farnese”, questo il titolo dell’appuntamento organizzato da Inner Wheel Viterbo. Dopo i saluti del presidente della Provincia, Alessandro Romoli, introdurrà i lavori Maria Teresa Battistelli Lecchini, presidente Inner Wheel Viterbo.
A raccontare la figura di spicco del rinascimento italiano saranno la storica dell’arte Valentina Berneschi, Elisabetta Gnignera storica del costume e Roberta Mezzabarba autrice del libro “IULIA FARNESIA – Lettere da un’anima”, dove la scrittrice tratteggia il profilo di una donna forte che, libera dalle pastoie di una famiglia che l’ha allevata all’ubbidienza, rinasce dalle sue ceneri e dalla damnatio memoriæ per divenire la mater e la domina del feudo di Carbognano. L’autrice restituisce a La Bella la dignità che le cronache storiche hanno sempre tralasciato, preferendo rincorrere il gossip cinquecentesco.
Ad accompagnare l’appuntamento intermezzi musicali del Liceo Musicale e coreutico S.Rosa da Viterbo.