Da 12 anni in pista. L’avventura di Paolo Bianchini, l’oste del Vecchio Orologio. Una vita per il territorio
Un corsa lunga 12 anni. E di fiatone neanche a sentirne parlare. Pure se certe volte c’è stato da lottare e da sudare, roba che in confronto le ripetute e i gradoni di Zeman (citazione dovuta vista la fede calcistica dell’interessato) sono succo di papaya e rum sparati dentro una noce di cocco sotto un ombrellone. E così, quando nell’anno di grazia 2008 dagli Stati Uniti ha cominciato a soffiare il vento della crisi, così forte e infame come una punizione di Mihajlovic (citazione bis, motivo leggi sopra), lui non si è perso d’animo. Anzi, come l’uomo saggio della storiella Paolo Bianchini non si è chiesto perché, ma ha pensato piuttosto a come, sforzandosi di trovare una soluzione che dieci anni dopo lo sta premiando. (continua dopo la foto)
Nessuna ricetta magica, nessun mago Merlino, indovino con la pivetta in bocca e meno che mai un dottor Faust interrogato. Piuttosto, la scelta più semplice. Quella di lasciare i grilli in soffitta (cicale comprese) e tornare a fare la cara e vecchia strada dell’orto, di tornare alle origini. Alle radici. Alla tradizione. E così, nel giro di poco, la sua Osteria del Vecchio Orologio, tra le prime a credere nella filosofia Slow Food, si è trasformata in un punto di riferimento per la cucina e le diversità enogastronomiche del territorio.
Una passo mica da poco, per primo per Paolo che ha smollato le vesti di imprenditore duro e puro per prendere quelle decisamente più romantiche di “Ambasciatore del territorio”, con le quali è oggi conosciuto e apprezzato. “Siamo partiti per scommessa, convinti però dal primo minuto di poter arrivare – dice Paolo, occhiali tondi sul naso e disponibilità da compagno di banco – la nostra provincia offre così tanto e chiede solo di essere ascoltata. Cerchiamo, nel nostro piccolo, di dare un contributo”.
(Continua dopo la foto)
Un piccolo relativo, visto che l’Osteria ha saputo conquistarsi non solo riconoscimenti – dalla guida Michelin al Gambero Rosso – ma anche presenza in trasmissioni televisive nazionali come eccellenza della Tuscia. Il motivo? Bastano 35 delle 72 aziende vinicole della provincia (e 120 etichette) in cantina. Oppure gli gnocchi viola con le patate di Grotte di Castro (un piatto che vede la collaborazione di cinque aziende della Tuscia). Oppure ancora la Manzetta stufata. La parole in questo caso servono a poco. Fateci un salto. Ne sapremo riparlare.
L.T